La sostenibilità del sistema pensionistico italiano

Il sistema pensionistico italiano

In questi ultimi anni al centro dell’attenzione dei cittadini italiani c’è il tema del sistema pensionistico nazionale e, soprattutto, di quanto sia veramente sostenibile. L’Italia opera con un sistema pensionistico a ripartizione, questo significa che i contributi versati ogni anno dai lavoratori attivi sono utilizzati per pagare le pensioni dei lavoratori a riposo, ossia dei pensionati. Questo vuol dire che, nel nostro sistema, chi lavora oggi non sta pagando i contributi per la propria pensione, ma per quella di chi in pensione lo è già ora;  vi è quindi un vero e proprio “patto tra generazioni". L’iscrizione ad un ente pensionistico-previdenziale è obbligatoria sin dall’inizio dell’attività lavorativa proprio perché gli attuali lavoratori pagano le pensioni a coloro che hanno smesso di lavorare. Tramite i contributi si versa una parte del proprio reddito che viene conteggiato all’interno della posizione personale di ogni singolo lavoratore, il cosiddetto estratto conto contributivo.
È evidente, però, che in un sistema così organizzato, il flusso delle entrate (rappresentato dai contributi) deve coprire l’ammontare delle uscite (le pensioni pagate) e l'eventuale differenza viene colmata mediante l'intervento dello Stato. Per questo motivo il sistema di previdenza sociale è stato continuamente interessato da riforme strutturali finalizzate ad evitare il collasso dello stesso.
Durante gli anni 60, gli anni del boom economico, lo Stato ha creato il sistema retributivo tramite il quale la pensione veniva calcolata sulla base degli ultimi stipendi ricevuti, il problema di questo sistema risiede nel fatto che all’aumentare degli anni lavorati aumenta anche il guadagno, in questo modo lo Stato restituiva, sotto forma di pensioni, più di quanto i lavoratori avessero versato durante la loro carriera. Conseguentemente nel 1995 lo Stato, rendendosi conto del problema, tramite la riforma Dini adotta il sistema contributivo, che calcola la pensione sulla base della totalità dei contributi che versati durante tutta la carriera, di conseguenza più noi versiamo durante la nostra vita lavorativa più riceveremo durante la nostra vecchiaia.

Un altro modello: il sistema pensionistico a capitalizzazione

Un secondo sistema pensionistico è quello a capitalizzazione, secondo questo modello i contributi di ogni lavoratore vengono investiti nel mercato dei capitali e ripagati al termine del periodo lavorativo. In questo modo ognuno risparmia per se stesso, nessuno può usufruire di quelle somme e quanto si riceve di pensione dipende da quanto si risparmia e da quanto investe.
Questa metodologia di previdenza sociale è utilizzata in diversi paesi, uno su tutti negli USA. Ma anche e soprattutto da qualsiasi società che fornisce servizi di fondi pensione privati. Per questo, anche in Italia, alcuni lavoratori versano contributi alle compagnie assicurative per permettersi di avere una doppia pensione, una rappresentata da quella statale e l’altra rappresentata da quanto si è risparmiato e investito privatamente durante tutta la carriera lavorativa.

Previsioni future

Negli ultimi anni il problema della previdenza sociale italiana è divenuto di rilevante importanza in quanto il nostro sistema nazionale è diventato insostenibile e il saldo tra contributi versati e le pensioni pagate si sta trasformando in negativo. Il perché di questa situazione va ricercato nell’evoluzione demografica. Da una parte le persone vivono più a lungo e questo significa che l’ammontare di pensioni da retribuire sarà più elevato, dall’altra il numero di lavoratori non aumenta perché il tasso di natalità è minimo e soprattutto perché molti giovani vanno a lavorare all’estero. Al centro della sostenibilità del nostro sistema pensionistico vi è proprio questo rapporto tra lavoratori e pensionati.
Secondo diversi studi il rapporto tra occupati e pensionati è oggi pari a 1,42, questo vale a dire che ci sono 1,42 lavoratori per ogni pensionato. Il vero problema del nostro sistema risiede nel fatto che, quando questo rapporto scende al di sotto di 1,5 la situazione diventa insostenibile e si rischia il collasso. Ad aggravare la situazione sono soprattutto alcune stime che secondo quanto riportano, da qui al 2030 ci si aspetta che il rapporto scenda a 1,3 e da qui al 2050 che si arrivi addirittura a 1:1.
L’unica soluzione a tutto questo sono delle vere e proprie ristrutturazioni del sistema pensionistico nazionale oppure delle riforme che mirino ad incentivare i giovani a rimanere nel nostro Paese creando una famiglia.

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