Chi sta speculando sui prezzi?

I profitti aziendali crescono ad un tasso doppio rispetto ai salari

Nel corso del 2022, la Confederazione dei Sindacati Europei ha rilevato un incremento del 1% nei profitti delle imprese dell'Unione Europea su base annua; mentre, i salari reali, ovvero quelli calcolati sulla base del loro potere d'acquisto, hanno subito una diminuzione del 2,5% su base annua.

Fonte: Syndicat European Trade Union

Tale andamento è stato confermato anche dalle ultime stime, che segnalano un aumento del 9,4% dei profitti aziendali nell'ultimo trimestre del 2022, a fronte di una crescita del 4,7% dei salari. In particolare, considerando settori come l'agricoltura e i servizi, emerge come l'aumento dei profitti sia stato fino a dieci volte superiore rispetto a quello degli stipendi. Tuttavia, tale tendenza a privilegiare il profitto a breve termine non sembra sostenibile nel lungo periodo, e questo sta suscitando qualche preoccupazione all'interno della Commissione Europea. La BCE teme una spirale salari-inflazione ed ha recentemente affermato che se la crescita combinata dei profitti e dei salari non rallenterà, l'obiettivo di riportare tempestivamente l'inflazione alla soglia prefissata diverrà ancor più complesso.

Analisi dei prezzi delle materie prime

Per supportare la nostra tesi sulla possibile speculazione sui prezzi da parte delle imprese, analizziamo i costi delle materie prime. L’indice più diffuso a livello globale per analizzare i prezzi delle materie prime è il Bloomberg Commodity Index (BCOM), il quale include una vasta gamma di materie prime come petrolio, gas naturale, metalli preziosi e prodotti agricoli. L’indice mostra come il costo delle materie prime ha visto un balzo in alto nel giugno 2022, dove ha toccato i massimi storici, per poi tornare a decrescere.

Fonte: Bloomberg.com

Tuttavia, il BCOM è un indice globale e non è specificamente legato all'Italia. Non è presente un indice che valuti il prezzo delle materie prime in un singolo paese. Per la nostra analisi consideriamo il prezzo del gas naturale, del petrolio e del grano, perché il 70% di questi prodotti viene importato dall’Italia e, quindi, una variazione dei prezzi di queste commodity ha un impatto significativo nell’economia del Paese.

Prezzo petrolio Brent. Fonte: Bloomberg.com
Prezzo grano duro. Fonte: Bloomberg.com
Prezzo gas naturale. Fonte: Bloomberg.com

Come dimostrato dalle analisi grafiche, i prezzi del gas naturale, del petrolio e del grano sono in diminuzione. Conseguentemente, è legittimo domandarsi come mai le aziende mantengano stabili i prezzi dei loro prodotti finiti in presenza di un calo dei costi delle materie prime. Questa situazione potrebbe essere giustificata dalla volontà delle aziende di garantire la sostenibilità del proprio business, soprattutto dopo il calo di fatturato degli ultimi due anni. Tuttavia, non si può escludere la possibilità che le aziende stiano speculando per massimizzare i profitti a breve termine. In ogni caso, tale decisione non è sostenibile nel lungo termine e le imprese dovranno adeguarsi alla nuova situazione dei prezzi delle materie prime.

Come reagiscono i mercati finanziari

In un contesto in cui i prezzi delle materie prime scendono, ma i prezzi dei prodotti finiti rimangono costanti, le conseguenze sui mercati finanziari dipendono dalle risposte degli investitori a queste dinamiche economiche. In generale, i prezzi delle azioni delle aziende che utilizzano le materie prime come input potrebbero essere influenzati dalla riduzione dei costi delle materie prime. Questo aspetto è visto positivamente dagli investitori, i quali si aspettano un aumento degli utili, il che potrebbe portare ad un aumento del valore delle loro azioni. Se, inoltre, in uno scenario come quello attuale, caratterizzato da alta inflazione, le aziende riescono a far crescere i loro profitti, gli investitori potrebbero essere ancora più propensi a investire in queste. Ciò potrebbe comportare un ulteriore aumento del prezzo delle azioni delle società, il che potrebbe influire positivamente sulle prestazioni del mercato azionario nel suo complesso. D'altra parte, c’è il rischio che questi comportamenti blocchino la discesa dell’inflazione, con una risposta da parte della BCE di ulteriore aumento dei tassi d'interesse. Questo potrebbe avere un impatto negativo sui mercati finanziari, in quanto tassi di interesse più alti generano un rallentamento dell'attività economica. Tuttavia, è importante considerare come i margini di profitto delle imprese tendono a diminuire nel lungo periodo attraverso la libera concorrenza, indipendentemente dai tassi di interesse. In un contesto in cui i profitti aziendali crescono ad un tasso doppio rispetto agli input produttivi, un aumento dei tassi d'interesse potrebbe comportare un aumento del divario di reddito, una riduzione del potere d'acquisto e una diminuzione della fiducia dei consumatori. In conclusione, un aumento dei tassi di interesse, senza altre iniziative, potrebbe portare ad una situazione di stagflazione, ovvero una combinazione di stagnazione economica e inflazione elevata. Ciò perché gli alti tassi di interesse rallentano l'attività economica, ma non riducono necessariamente l'inflazione. Però, se le politiche fiscali di supporto ai consumatori, come la tassa sugli extraprofitti, venissero implementate insieme all'aumento dei tassi di interesse, quest’ultimi potrebbero avere meno effetti negativi sulla crescita economica.

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