Aumento del petrolio: tra guerra e fragilità

Introduzione

È da inizio luglio che il prezzo del greggio segue un trend crescente con tanto di picchi di prezzo improvvisi, scatenando non poche preoccupazioni tra gli analisti di mercato europei ed americani, i quali temono il peggio a causa della strategia dell’OPEC e dalle varie tensioni internazionali in Medio Oriente e in Russia.

Guerra Israele-Hamas

Il 7 ottobre il prezzo del petrolio ha subito un aumento del 6% in poche ore, arrivando a toccare il suo massimo a circa 90 dollari a barile e rivelando le criticità di un mercato pieno di fragilità. Tutto ciò è stato scatenato dall’escalation militare avvenuta tra Israele ed Hamas. Bisogna però specificare che il conflitto in sé non è quello a destare il pericolo maggiore, in quanto il 9 novembre il prezzo ha toccato il suo minimo da luglio nonostante l’avvio da parte delle forze israeliane di un’invasione di terra nella Striscia di Gaza. Infatti, la preoccupazione dei vari governi occidentali risiede sulla paura dei mercati di un possibile intervento dell’Iran e di Hezbollah (un gruppo terroristico presente in Libano) ed un possibile schieramento antioccidentale da parte di paesi come Arabia Saudita, Iraq, Kuwait ed EAU. Quest’ultimi detengono circa un terzo della produzione di petrolio e controllano o potrebbero bloccare molti dei flussi commerciali che riforniscono l’Europa, rischiando di scatenare una crisi più grave di quella avvenuta nel 2008 o nel 1973.

La strategia dell’OPEC+

Mentre il conflitto in Medio Oriente ha reso momentaneamente instabile il mercato del greggio e scatenato preoccupazioni, la causa principale del suo costante aumento a partire dal luglio 2023 dipende dalle decisioni dell’OPEC+ (Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio e partner), la quale controlla l’80% delle riserve di petrolio e detiene il 40% della produzione mondiale di greggio. Tra i responsabili della strategia aggressiva dell’OPEC+ che punta ad aumentare il prezzo del petrolio ci sono i due più grandi produttori dell’Organizzazione, ovvero Arabia Saudita e Russia che per rispondere alle politiche europee di transizione green hanno recentemente confermato di tagliare la produzione di greggio di almeno 1 milione di barili al giorno fino al 2024, nonostante l’aumento della domanda globale di petrolio e derivati.

I rimedi e le conseguenze

Questi tagli di produzione hanno obbligato i governi europei e quello americano a mettere in atto delle manovre per bilanciare il prezzo del petrolio ed evitare ulteriori danni alle nostre economie. Manovre,chesonorisultatealmenoper ora efficaci: infatti il 9 novembre, circa un mese dopo il suo picco, il prezzo del greggio sembra essere tornato al suo minimo rispetto a luglio. Tra i responsabili di questo calo ci sono l’aumento della produzione da parte degli Usa e del Brasile per rispondere ai tagli di produzione, l’autorizzazione britannica ad avviare un nuovo giacimento petrolifero nel Mare Del Nord ma soprattutto una riduzione della domanda da parte dell’UE e della Cina. Quali sarebbero le conseguenze derivanti dall’aumento del prezzo del petrolio se non dovesse stabilizzarsi? L’Europa è quella che ne risentirà di più e se la situazione non dovesse stabilizzarsi si prevedrebbe un aumento dell’inflazione e quasi sicuramente una contrazione della produzione per almeno metà del 2024 con conseguente perdita dei posti di lavoro e competitività nel mercato mondiale. Tutto ciò evidenzia le forti criticità che l’Italia e l’Unione Europea dimostrano di avere a causa di una dipendenza pluriennale nei confronti di altre nazioni, e da una mancata linea comune nell’ambito geopolitico ed energetico.

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