L'accoppiata vincente

Inflazione e indipendenza delle Banche Centrali

“La credibilità di una banca centrale si fonda sull’indipendenza. Non deve essere soggetta al dominio del bilancio o della politica e deve essere libera di scegliere gli strumenti che ritiene più appropriati per adempiere al proprio mandato.”

Queste parole sono state pronunciate nel 2018 dall’allora governatore della BCE Mario Draghi in risposta a delle accuse che gli venivano rivolte dal Vicepresidente del Consiglio italiano Luigi di Maio (Conte I) e riguardano un tema che è cruciale per il pieno e libero svolgimento dell’attività delle banche centrali: la loro indipendenza da qualsiasi ingerenza statale. A livello europeo l’indipendenza della BCE posa su cinque pilastri sanciti nello Statuto del SEBC, Sistema europeo di Banche Centrali: indipendenza istituzionale, che comporta il divieto per la BCE e qualsiasi BCN di accettare direttive o consigli da parte di governi nazionali; indipendenza personale dei membri del Comitato esecutivo della BCE; indipendenza funzionale e operativa relativa alla competenza esclusiva di cui gode la BCE per l’esercizio della politica monetaria; indipendenza finanziaria e organizzativa; indipendenza giuridica.

Obiettivo delle banche centrali è quello di garantire la stabilità dei prezzi, ossia contenere il tasso di inflazione entro livelli prestabiliti o, come si sta verificando in questa particolare situazione congiunturale, contrastare un’eccessiva spinta deflazionistica e l’indipendenza di suddette istituzioni è un baluardo a salvaguardia di tali scopi. Se i governi potessero in qualche modo influenzare la politica monetaria di una banca centrale potrebbero avere la convenienza a non combattere l’inflazione per fini meramente elettorali e propagandistici e ciò causerebbe danni al sistema economico nel suo complesso. I governi nella loro spasmodica dipendenza dai risultati elettorali potrebbero essere propensi a politiche monetarie espansive e molto accomodanti. Inflazione e populismo sono strettamente legati. Lo slogan di “stampare moneta” durante periodi di forte contrazione economica è tanto attraente quanto pericoloso. Con l’abbassamento dei tassi di interesse aumenterebbe la liquidità e i redditi, tuttavia secondo la teoria quantitativa della moneta la quantità di “liquidi” presenti in un sistema è direttamente proporzionale all’inflazione. Una spropositata svalutazione del potere d’acquisto della moneta nel recente passato ha favorito l’ascesa di pericolosi leader da Hitler in Germania, fino ad arrivare ai dittatori dell’America Latina come Chavez e Maduro.

Un pilastro della teoria economica è quindi l’indipendenza delle banche centrali per assicurare stabilità monetaria al sistema e controllare la dinamica dei prezzi. L’indipendenza dal potere politico consente a queste istituzioni di prendere liberamente decisioni sui tassi di interesse e offerta di moneta per controllare l’inflazione e assicurare un sostenibile livello di crescita.

Un esempio da non seguire: la Turchia

Il principio dell’indipendenza non è contemplato nel sistema turco, dove il presidente Erdogan in meno di due anni ha licenziato tre governatori della Banca Centrale Turca a conferma del fatto che l’autoritarismo cerchi sempre più di mettere le proprie mani anche sul controllo delle politiche economiche creando rischi e gravi problemi al sistema economico. Lo scorso 20 marzo il banchiere centrale Naci Agbal è stato licenziato da Erdogan, come i suoi due predecessori rispettivamente nel 2019 e nel 2020. La crisi dell’economia turca ha avuto inizio nel momento in cui lo stato, le banche e le imprese hanno iniziato a finanziare la crescita del paese facendo ricorso al debito in valuta estera. Indebitarsi in questo modo è stata una mossa molto pericolosa perché ciò ha costretto le imprese e le banche turche a dover ripagare questi debiti in dollari o euro con una lira di molto svalutata, creando una situazione difficile da fronteggiare. Nel 2018 questa crisi, inizialmente circoscritta ai mercati finanziari, si riversò inevitabilmente sull’economia reale facendo crollare il PIL e schizzare verso l’alto il tasso di inflazione. Questa situazione di forte crisi è stata il “casus belli” per legittimare Erdogan a insinuare il proprio controllo sull’economia, minando l’indipendenza della Banca Centrale, dando avvio a quella che molti studiosi definiscono la “Erdoganonomics”. Il motivo di scontro tra il leader e i banchieri centrali riguarda la necessità espressa da questi ultimi di aumentare i tassi di interesse per contrastare l’inflazione. Scelta del tutto avversa a Erdogan per motivi di mero consenso politico. Con lo scoppio della pandemia di coronavirus la crisi turca era così grave e profonda che si era giunti a pensare a far ricorso al Fondo monetario internazionale per cercare di risollevare il paese da questa situazione moribonda. Il leader turco decide ancora una volta di rinnovare il vertice della Banca Centrale nominando Agbal come governatore, garantendogli utopicamente totale libertà d’azione. In linea con le ortodosse teorie economiche, la prima operazione del governatore è stata quella di alzare in modo deciso e sostanziale i tassi di interesse congiuntamente ad una serie di politiche per rassicurare gli investitori, tutto all’interno dell’obiettivo primario di far calare l’inflazione dal 15 al 5 per cento in tre anni. L’economia turca sembrava sulla strada di una graduale ripresa e la lira in pochi mesi si era rivalutata del 18 per cento circa iniettando una decisa dose di fiducia anche negli investitori che erano andati ad acquistare un’importante quota di asset turchi. Proprio in questo momento di possibile rinascita si inserisce nuovamente l’intervento del premier, nettamente contrario alle politiche messe in atto dal governatore centrale, tanto da decidere di licenziarlo come già fatto per i suoi predecessori. Subito dopo la rimozione di Agbal la lira turca si è nuovamente svalutata crollando del 15 per cento circa contro il dollaro, la borsa ha perso dieci punti percentuali e gli investitori esteri hanno cercato di liberarsi degli asset precedentemente acquistati. La crisi economica in cui versa il paese è in larga parte determinata dalle continue intromissioni del premier Erdogan nella gestione della politica economica e soprattutto dalla volontà di minare l’indipendenza della Banca Centrale andando a rimuovere e sostituire senza motivazioni di merito funzionari che stavano adottando misure in contrasto con i suoi obiettivi politico- propagandistici con uomini sotto la sua egida. Per tentare di proteggersi dall’attuale svalutazione della lira milioni di turchi hanno investito in criptovalute che in questo caso sono venute a configurarsi come riserve di valore da un’inflazione smisurata. Qualche giorno fa però la Banca Centrale, ora affidata a Sahap Kavcioglu ha bandito a partire dal 30 aprile l’uso delle criptovalute come strumento di pagamento per l’acquisto di beni e servizi. Tale situazione di caos è stata ulteriormente aggravata dalla “fuga” con un bottino di oltre due miliardi di dollari di Faruk Fatih Ozer, AD e founder dell’exchange turco di criptovalute Thodex, rendendo impossibile a circa quattrocentomila risparmiatori di ritirare i loro soldi a seguito delle disposizioni della Banca Centrale. Richiamando il concetto di credibilità sottolineato da Mario Draghi, il frequente turnover, messo in atto dal premier Erdogan mediante il licenziamento di qualsiasi governatore non sia disposto ad assecondare la sua politica di bassi tassi di interesse, ha causato una perdita di credibilità notevole da parte degli investitori esteri. L’esempio turco è lampante per comprendere la vitale importanza per il sistema economico dell’indipendenza delle istituzioni bancarie centrali al fine di conseguire risultati di stabilità e crescita in un paese.

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