WeWork – L’ascesa e il declino

Cos’è WeWork

WeWork è una real estate company fondata nel 2010 dall’imprenditore Adam Neumann e Miguel McKelevery. Nasce in un momento delicato della storia, ovvero nel periodo della grande recessione, dove il modo di lavorare stava cambiando. Stava cambiando perché i liberi profession isti e dipendenti delle grandi aziende preferivano risparmiare sugli uffici e sugli affitti. La start-up quindi coglie l’opportunità di sfruttare il momento storico per lanciare la propria idea di business. Quest’ultima è rappresentata dal “cambiare il modo in cui le persone lavorano” creando spazi di co-working affittabili mese per mese, a costi relativamente bassi, permettendo così di avere flessibilità per adattare ogni attività a qualsiasi cambiamento futuro

Il business model

Il business model della start-up si basa sul fatto di non comprare gli immobili, ma di stipulare contratti di affitto di medio-lungo termine in quartieri posizionati nelle grandi città. Per riuscire a generare margini, i ricavi derivanti dalle fee che gli utilizzatori del servizio pagano devono essere superiore rispetto al costo dell’affitto pagato al proprietario dell’immobile. Oltre, alla possibilità di poter affittare uno spazio, WeWork offre tutta una serie di servizi, come l’assistenza sanitaria, per riuscire ad avere maggiori ricavi.

Possiamo notare dunque come il punto critico risulta essere la negoziazione dei contratti d’affitto con i “land lords”. Quest’ultimi devono essere i più convenienti possibile in maniera tale da riuscire a garantire un minor costo possibile. Proprio per questo motivo la durata media di un contratto risulta essere all’incirca di 15 anni.

L'esponenziale crescita

Gli investitori della start-up del co-working a partire dal 2014 includevano J.P. Morgan Chase & Co, T. Rowe Price Associates, Wellington Management, Harvard Corporation, Goldman Sachs Group, Benchmark e Mortimer Zuckerman, ex CEO di Boston Properties. Questo afflusso di grandi investitori ha permesso una crescita esponenziale nel corso degli anni successivi. Un dato interessante è che a settembre 2015, l'azienda contava 51 sedi di co-working in Europa e Israele; il doppio rispetto alla fine del 2014.

La cosa più impressionante, non è tanto stata l’incremento del numero delle sedi disponibili, ma è stata la valutazione della start-up, che nel 2014 è riuscita a raggiungere la soglia del miliardo (diventando un “unicorno”). Per poi superarla di bene oltre nel corso del 2015, raggiungendo un valore di circa 10 miliardi di dollari.

Fonte: PitchBook

L'arrivo di SoftBank

Ruolo fondamentale nel corso della crescita di WeWork è stato giocato da SoftBank. Quest’ultima gestisce Vision Fund, un fondo di venture capital incentrato sugli investimenti nel mondo tech. Ha come obiettivo quello di finanziarie start-up per farle crescere il più rapidamente possibile.

Tra il 2017 e il 2018, SoftBank ha investito all’incirca 8 miliardi di dollari in WeWork portando la valutazione dell’unicorno a 20 miliardi. Nel 2019 investe altri 2 miliardi che permettono alla società di raggiungere una valutazione pari a 47 miliardi di dollari. Valore non veritiero ma che ha reso la start-up la più valutata di tutti gli USA di sempre.

Fonte: PitchBook

Il disastroso tentativo di IPO

Con una valutazione del genere la start-up sembrerebbe essere pronta a lanciare la propria IPO e passare ad essere una public company. Infatti, nell’agosto del 2019 presenta le carte per l’IPO rendendo noti tutti i suoi dati finanziari. In questo momento, però, gli analisti vedono che i numeri stupefacenti di crescita erano affiancati da ingenti perdite e successi finanziari inferiori rispetto alle aspettative.

Pertanto, gli operatori coinvolti nel roadshow hanno iniziato a sollevare dubbi sulle pratiche in tema di corporate governance e sull’effettiva sostenibilità del modello di business della società stessa; ma non solo. Ulteriori perplessità riguardavano la capacità di questa di riuscire a garantire profittabilità. Tutto ciò, ha comportato un crollo della valutazione di WeWork, passando da 47 miliardi a 9 miliardi di dollari prima della quotazione.

Il posticipo della quotazione

Questo crollo ha comportato, oltre al posticipo dell’IPO, titubanze da parte degli investitori della startup che hanno iniziato a fare passi indietro, causando un forte incremento dei debiti della società. Così Softbank decise di intervenire, passando da una partecipazione del 29% ad una partecipazione dell’80%, estromettendo e allontanando Nuemann.

Il problema principale

Il problema principale è che i clienti di WeWork occupano in media per 15 mesi i locali offerti, mentre i contratti di affitto, che la società stipula con i “land lords”, sono di una durata pari a 15 anni. Di conseguenza, si possono avere periodi in cui il turnover dei clienti non è sufficiente a coprire interamente il costo affitto; ed essendo sotto vincoli contrattuali, la società, non ha modo di attuare un taglio di costi, e quindi sono inevitabili le perdite.

Ulteriore elemento di “opacità” che ha contribuito a gravare la situazione della società è stato il comportamento dello stesso co-fondatore Adam Nuemann; che pubblicamente dichiarava successi e performance di crescita incredibili, ma al contempo nascondeva le ingenti perdite. Questo comportamento era facilitato dal fatto che negli USA le private company non hanno l’obbligo di rendere pubblici bilanci.

Il secondo tentativo

È solo nell’ottobre 2021, WeWork si quota a Wall Street tramite una fusione via SPAC (Bowx Acquisition Corp) con una valutazione di 9 miliardi di dollari – valore nettamente inferiore ai 47 miliardi dei due anni precedenti.

Ancora margini di crescita?

Osservando l’ultimo triennio, pre e post pandemia, abbiamo individuato un nuovo fattore di uso degli spazi, ovvero lo smart working. Da questa esperienza si potrebbe porre il quesito: “il co-working ha ancora un margine di crescita e risulta essere ancora interessante per un investitore?”.

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